Chiamare le cose con il loro nome Roberto PECCHIOLI
Chiamare le cose con il loro nome Roberto PECCHIOLI
Siamo alla frutta, o forse al momento del conto, se dobbiamo registrare con soddisfazione che il massimo tribunale britannico abbia stabilito che un uomo è un uomo e una donna è una donna e così devono essere chiamati. La follia del mondo capovolto è tanto avanzata che credere ai propri occhi diventa un atto di coraggio, o, come scrisse George Orwell, che in tempo di inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. Non possiamo dire altrettanto della corte costituzionale italiana- un sinedrio di ottimati fedeli al sistema- che ha recentemente aperto la strada alle adozioni gay e ad altri spropositi affermando che le parole padre e madre nei documenti sono discriminatorie e vanno sostituite dal neutro "genitore". Il commento più impressionante del mondo invertito è venuto da Laura Boldrini che, a proposito della dicitura padre e madre, ha parlato di bullismo politico. Giove toglie il senno a chi vuol rovinare.
La guerra delle parole- su cui abbiamo scritto un libro- è uno dei principali campi di battaglia della rivoluzione cognitiva voluta dai padroni del disgraziato occidente. Il pronunciamento inglese , in questo senso, è assai importante nel mondo in cui i pazzi guidano i ciechi. Confucio disse che il suo primo atto di governo sarebbe stato rettificare le denominazioni, poiché solo nella chiarezza si persegue il bene comune. Viceversa, la confusione verbale è il primo segnale della decadenza civile. Distorcere il dizionario significa distorcere la nostra vita. Il giudice britannico ha semplicemente creduto alla natura e ai suoi occhi, ristabilendo una verità elementare, chiarissima agli uomini di ogni tempo e civiltà tranne la nostra. È semplice e primordiale definire le cose con il loro nome: donna a una donna, rosa a una rosa.
La sentenza della Corte Suprema del Regno Unito si basa su una qualificazione semantica che mira a ripristinare il rigore delle parole, giacché senza rigore non c'è giustizia. E nemmeno un'etica coerente. Dare un nome sbagliato a un oggetto, sosteneva Albert Camus, aumenta l'infelicità del mondo. Poche cose dovrebbero preoccuparci più dell'arbitraria imposizione di significato alle parole. "La decisione unanime di questa corte è che i termini donna e sesso nell'Equality Act del 2010 ( la legge britannica sull'uguaglianza N.d.R.) si riferiscono a una donna biologica e al suo sesso biologico", ha affermato Patrick Hodge, vicepresidente del tribunale, annunciando la sentenza.
Alla fine, non è che un fondamentale monito dello stesso Sigmund Freud: l'anatomia è un destino. Esattamente ciò a cui vuole sfuggire la folle ideologia postmoderna (e post umana). Dall'amor fati , amore , accettazione del destino, all'odium fati, il suo contrario. La legge- e con essa la logica e il senso comune- deve attenersi al criterio imposto dal destino: definire e classificare ciò che è e sarà per sempre. Il lessico, fotografia della realtà, classifica le configurazioni genitali, ossia i destini. Il testo giuridico inglese li chiama "sesso biologico". In termini clinici, il nome proprio è anatomia. Il giudice Hodge ha precisato ciò che avrebbe dovuto essere superfluo. Ma è giusto che lo abbia fatto, data l'estrema confusione che un dibattito contaminato dall'ideologia sta imponendo all'opinione pubblica.
La precisazione lessicale della corte britannica non lede i diritti di alcuno. "Sconsigliamo di interpretare questa sentenza come un trionfo di uno o più gruppi della nostra società a scapito di un altro: non è così. La sentenza non crea alcuno svantaggio per le persone trans, protette dalle leggi antidiscriminazione e dalle norme che tutelano l'uguaglianza giuridica di tutti i cittadini. " Verità e realtà contro autopercezione, capriccio, volontà soggettiva. Chiamare ogni cosa con il suo nome ci protegge dal trivializzarla. E di mettere la tragedia al posto della commedia, col pretesto che entrambe, come insegna Aristotele, sono scritte con le stesse lettere.. Chiamare "riassegnazione autodeterminativa" l'amputazione di organi o la pretesa di essere per legge ciò che non si è per natura significa giocare con l'inferno. Occorre proteggere da se stesse- e da interessati stregoni- personalità fragili e innanzitutto ripristinare il primato della natura sul desiderio di negarla, oltrepassarla o relativizzarla. L'uomo e uomo, la donna è donna. Una mela è una mela e chi non ci crede esca dall'aula, diceva agli studenti della Sorbona Tommaso d'Aquino. Il monito di Camus non è mai stato tanto convincente: dare un cattivo nome a qualcosa aumenta l'infelicità.