Claudio Mutti ETNOGENESI DEL POPOLO EBRAICO
Claudio Mutti ETNOGENESI DEL POPOLO EBRAICO
1.
"Etnogenesi
del popolo ebraico" è un'espressione che si presta a varie
riflessioni. Non solo perché è un'espressione ridondante (in quanto già
il composto "etnogenesi" significa, di per sé, "formazione del
popolo"), ma anche e soprattutto perché il concetto di "popolo ebraico",
nonostante l'uso generale che di esso vien fatto, non è per nulla un
concetto pacifico e scontato. Infatti
l'affermazione secondo cui gli Ebrei costituirebbero un popolo (più o
meno "eletto") è stata più volte oggetto di contestazioni. La più
recente è quella di Shlomo Sand, professore di storia europea
all'università di Tel Aviv, che un paio d'anni fa ha pubblicato presso
la casa editrice Resling un libro di 300 pagine intitolato Matai ve'ech humtza ha'am hayehudi? ("Quando e come fu inventato il popolo ebraico?"). Quanto ai termini "ebraico" ed "ebreo", vale la pena di considerare la definizione che ne viene data dal Vocabolario illustrato della lingua italiana di G. Devoto e G.C. Oli (edizione del 1967 e successive), che riferisco integralmente. Ebreo "Appartenente
agli Ebrei, popolo di antica civiltà, costituitosi in unità nazionale e
religiosa nella seconda metà del secondo millennio a.C., con lo
stanziamento in Palestina (la 'Terra Promessa'), donde poi
coraggiosamente [sic]
si diffuse in tutto il mondo e dove oggi si va ricostituendo come
unità etnica e politica (Stato d'Israele): eredi, più o meno
consapevoli, dell'originaria preziosa tradizione religiosa e civile,
hanno contribuito, con apporti eccezionali di individui e di energie,
alla formazione del mondo moderno". Si
confrontino il tono e l'estensione di questo articolo con quello di
altre definizioni che il medesimo vocabolario fornisce di termini
analoghi, relativi alle identità nazionali e religiose. Si legga per
esempio l'articolo Cinese:
"Geograficamente o culturalmente appartenente alla Cina; come sost.,
cittadino della Repubblica Popolare Cinese o della Cina nazionalista
(Taiwan)". Italiano: "Appartenente all'Italia dal punto di vista geografico o politico". Cristiano: "Seguace della religione fondata da Gesù Cristo". Musulmano: "Appartenente alla cultura e civiltà islamica. Come sost. masch., seguace dell'islamismo, maomettano". In altri vocabolari, la voce Ebrei viene trattata in maniera più sintetica. Nel 1947, il Dizionario Enciclopedico Moderno delle
Edizioni Labor ne dava la definizione seguente: "Popolo oriundo
dell'Asia, oggi disperso in quasi tutto il mondo, appartenente al
gruppo semitico". Sono
numerose le riflessioni che si potrebbero fare a margine di tali
definizioni e, più in generale, riguardo alla natura non propriamente
neutra dei vocabolari. Adesso invece vorrei entrare nell'argomento
specifico nel mio discorso prendendo lo spunto dal termine "semitico"
che viene correntemente usato per designare l'appartenenza del
cosiddetto "popolo ebraico".
2.
Che
cosa significa "semitico"? Pare sia stato lo storico tedesco August
Ludwig von Schlözer (1735-1809) a coniare per la prima volta, nel 1781,
l'aggettivo semitisch, per indicare il gruppo delle lingue parlate da quelle popolazioni che un passo biblico (Gen. 10,
21-31) fa discendere da Sem figlio di Noè: il siriaco, l'aramaico,
l'arabo, l'ebraico, il fenicio. L'aggettivo "semitico" si riferisce
perciò propriamente ai Semiti, ossia ad una famiglia di popoli che si è
diffusa nella zona compresa fra il Mediterraneo, i monti d'Armenia, il
Tigri e l'Arabia meridionale, per poi estendersi anche all'Etiopia ed
al Nordafrica; come aggettivo sostantivato ("il semitico"), indica la
famiglia linguistica corrispondente, che si articola in tre gruppi:
quello orientale o accadico (che nel II millennio si divise a sua volta
in babilonese e assiro), quello nordoccidentale (cananeo, fenicio,
ebraico, aramaico biblico, siriaco) e quello sudoccidentale (arabo ed
etiopico). Del
tutto improprio è dunque l'uso dei termini "semita" e "semitico" come
sinonimi di "ebreo" e di "ebraico", esattamente come sarebbe improprio
dire "ariano" o "indoeuropeo" in luogo di "italiano", "tedesco",
"russo" o "persiano". Ne
consegue che altrettanto errato è l'uso del termine "antisemita" come
sinonimo di "antiebraico". Se usato correttamente, il vocabolo
"antisemitismo" (coniato nel 1879 dal giornalista viennese Wilhelm Marr)
dovrebbe indicare l'ostilità nei confronti dell'intera famiglia
semitica, la quale ha oggi la sua componente più numerosa nelle
popolazioni di lingua araba, cosicché la qualifica di "antisemita"
risulterebbe più adatta a designare chi nutre ostilità nei confronti
degli Arabi, più che non coloro i quali provano avversione nei
confronti degli ebrei. Ma
l'inconsistenza della suddetta sinonimia ("semita" = "ebreo") risulta
ancora più evidente qualora si rifletta sul fatto che gli Ebrei odierni
non possono essere qualificati come "semiti", e ancor meno come "popolo
semitico". Infatti, se l'appartenenza di un gruppo umano ad una più
vasta famiglia deve essere stabilita in base alla lingua parlata dal
gruppo in questione, allora un popolo potrà essere considerato semitico
soltanto nel caso in cui esso parli una delle lingue semitiche che ho
enumerate poc'anzi, col risultato che oggi avranno il diritto di essere
definiti semiti a pieno titolo gli Arabi e gli Etiopi, ma non gli
Ebrei. E'
vero che dal 1948 l'ebraico (il neoebraico) è diventato lingua
ufficiale della colonia sionista insediatasi in Palestina ed è compreso
dalla maggior parte degli Ebrei che attualmente vi risiedono, ma si
tratta di una lingua che era praticamente morta da oltre venti secoli e
che solo nel Novecento è stata artificiosamente richiamata in vita. Gli
Ebrei della cosiddetta diaspora (ma anche il concetto di "diaspora"
andrebbe sottoposto a una radicale revisione critica), oggi come in
passato, parlano le lingue dei popoli in mezzo ai quali si trovano a
vivere, lingue che sono per lo più indoeuropee (inglese, spagnolo,
francese, italiano, russo, farsi ecc.). Lo stesso yiddish, che si formò
nel XIII secolo nei paesi dell'Europa centrale sulla base di un
dialetto medio-tedesco e diventò una sorta di lingua internazionale in
seguito alle migrazioni ebraiche, era pur sempre un idioma tedesco,
anche se, oltre ad un vocabolario di base tedesco e slavo, conteneva un
tasso elevato di elementi lessicali ebraici e veniva scritto in
caratteri ebraici. Ritengo
dunque lecita la conclusione che gli Ebrei non costituiscono affatto
un gruppo definibile come semitico sulla base dell'appartenenza
linguistica. Possiamo
allora considerarli semiti sotto il profilo etnico? Per rispondere
affermativamente, bisognerebbe essere in grado di ricostruire la
genealogia degli Ebrei attuali e di ricondurla fino a Sem figlio di
Noè. Cosa praticamente impossibile. Un
fatto è certo: all'etnogenesi ebraica hanno contribuito elementi
razziali di varia provenienza, acquisiti attraverso il proselitismo
religioso e quei matrimoni misti ("i matrimoni con le figlie di un dio
straniero") contro i quali tuonavano inutilmente i profeti d'Israele.
Scrive uno studioso ebreo, il Fishberg (in The Jews: A Study of Race and Environment): "A partire dalle testimonianze e dalle tradizioni bibliche, si deduce che perfino agli esordi della
formazione delle tribù d'Israele queste erano già composte di elementi
razziali diversi (...). A quell'epoca troviamo in Asia Minore, in
Siria e in Palestina molte razze: gli Amorrei, che erano biondi,
dolicocefali e di alta statura; gli Ittiti, una razza di carnagione
scura, probabilmente di tipo mongoloide; i Cusciti, una razza negroide;
e parecchie altre ancora. Gli antichi Ebrei contrassero matrimoni con
tutte queste stirpi, come si vede bene in molti passi della Bibbia". Secondo
un autorevole geografo ed etnologo italiano, Renato Biasutti
(1878-1965), "la questione della posizione antropologica o composizione
razziale degli Ebrei non è meno complessa e oscura" di tante altre.
"Una delle cause di ciò - egli spiega - sta nella difficoltà di
raccogliere informazioni adeguate sui caratteri somatici di un gruppo
etnico tanto disperso". Occorre
poi distinguere tra i gruppi ebraici dell'Asia e quelli dell'Europa e
dell'Africa e, in particolare, tra i Sefarditi (il ramo meridionale
della diaspora) e gli Aschenaziti (il ramo orientale). Se i Sefarditi
si sono diffusi dal Nordafrica e dall'Europa mediterranea fino
all'Olanda e all'Inghilterra, gli Aschenaziti hanno popolato vaste aree
della Russia meridionale, della Polonia, della Germania e dei Balcani
ed hanno fornito il contingente più numeroso al movimento
colonialistico che ha dato nascita all'entità politico-militare
autodenominatasi "Stato d'Israele". Se
per gran parte dei Sefarditi si può ipotizzare un'origine parzialmente
semitica, benché non necessariamente ebraica (come argomenta Paul
Wexler in The non-Jewish origins of the Sephardic Jews),
per quanto riguarda gli Aschenaziti, che rappresentano i nove decimi
dell'ebraismo mondiale attuale, non solo deve essere esclusa
un'ascendenza ebraica che arrivi fino al periodo biblico, ma sembra
doversi escludere l'appartenenza semitica in senso etnico.
3.
E' nota la tesi divulgata da Arthur Koestler, tesi che può essere sintetizzata in queste parole del suo libro intitolato La tredicesima tribù:
"Durante il Medioevo la maggioranza di coloro che professavano la fede
ebraica erano cazari. Gran parte di questa maggioranza emigrò in
Polonia, Lituania, Ungheria e nei Balcani, dove fondò quella comunità
ebraica orientale che a sua volta divenne la maggioranza predominante
dell'ebraismo mondiale" (Arthur Koestler, La tredicesima tribù, Torino 2003, p. 119) Koestler
ha semplicemente divulgato i risultati delle ricerche storiche
relative al popolo dei Cazari. Per darne un'idea, riferirò alcuni dati. Il
fatto che toponimi del tipo Kozár e Kazár si trovino in Transilvania e
in altre zone dell'Ungheria ha indotto molti studiosi a ritenere che
l'elemento cazaro abbia rappresentato un importante ingrediente di quel
miscuglio etnico che è la popolazione ebraica dell'Ungheria e della
Transilvania: "tra gli Ebrei, quelli in cui è più forte la componente
cazara [the most strongly Khazar]
sono indubbiamente gli Ebrei ungheresi, discendenti degli ultimi
Cazari che fuggirono in Ungheria tra il 1200 e il 1300" (Monroe
Rosenthal - Isaac Mozeson, Wars of the Jews: A Military History from Biblical to Modern Times, Hippocrene Books, New York, 1990, p. 224). Come
in Ungheria e in Transilvania, così anche in Ucraina e in Polonia la
toponomastica rivela antichi insediamenti cazari. "In Ucraina e in
Polonia - scrive Koestler - esistono parecchi nomi di antiche località,
che derivano da 'cazaro' o da 'zhid' (ebreo): Zydowo, Kozarzewek,
Kozara, Kozarzow, Zhydowska Vola, Zydaticze ecc. Può darsi che questi
fossero un tempo dei villaggi, o anche solo degli accampamenti
temporaneamente occupati da comunità cazaro-ebraiche nel loro lungo
cammino verso l'occidente. Nomi di località analoghi si possono anche
trovare nei monti Carpazi e Tatra e nelle province orientali
dell'Austria. Si ritiene che persino gli antichi cimiteri ebraici di
Cracovia e di Sandomierz, chiamati entrambi 'Kaviory', possano essere di
origine kabaro- cazara" (Arthur Koestler, La tredicesima tribù. Storia dei cazari dal Medioevo all'Olocausto ebraico, UTET, Torino, 2003, p. 115. Cfr. K. A. Brook, The Jews of Khazaria, cit., p. 172). Per
quanto concerne in particolare l'Ucraina, ai dati della toponomastica
si possono aggiungere quelli antroponimici: a Kiev e a Odessa è
attestato il cognome ebraico Kazarinsky. La presenza dei Cazari in
Ucraina risale all'VIII secolo, quando il khanato cazaro portò i suoi
confini occidentali alla valle del Dnepr; fin dagli inizi del X secolo
una consistente comunità di ebrei cazari si installò a Kiev. "Già dal
tempo di Igor, - scrive Solzhenitsyn - la città bassa si chiamava
Kozary; Igor vi ha trasferito nel 933 i prigionieri ebrei da Kertch,
nel 965 sono venuti prigionieri ebrei dalla Crimea, nel 969 cazari da
Itil e Semender, nel 989 dal Chersoneso, nel 1017 da Tmutarakan.
Studiosi più recenti confermano l'origine cazara dell' 'elemento ebreo'
a Kiev nell'XI secolo" (Aleksandr Solgenitsin, Due secoli insieme. Ebrei e Russi prima della rivoluzione,
Controcorrente, Napoli, 2007, vol. I, p. 15). Sempre a Kiev, non più
tardi del 930, cioè quando la città si trovava ancora sotto il dominio
dei Cazari, fu scritta in ebraico la Lettera kievana, che è il più antico documento cazaro di cui attualmente si disponga. Più
che legittima appare perciò la conclusione che da questi e da altri
dati trae Kevin Alan Brook: "è altamente probabile che i moderni Ebrei
dell'Ucraina (ed altri Ebrei aschenaziti) siano in una qualche misura i
discendenti [have at least some ancestry]
degli Ebrei originari della Rus' kievana, Cazari inclusi (...)
Tradizioni orali del secolo XIX fanno ritenere che discendenti dei
Cazari abbiano continuato a vivere in Ucraina fino a tempi recenti" (K.
A. Brook, The Jews of Khazaria, cit., p. 177). D'altronde
già Avrakham Garkavi aveva sostenuto, nell'Enciclopedia Giudaica
pubblicata a San Pietroburgo negli anni immediatamente precedenti la
Rivoluzione d'Ottobre, che l'ebraismo russo è stato formato da "ebrei
provenienti dalle rive del Mar Nero e dal Caucaso", i quali adottarono
lo yiddish solo nel XVII secolo. Una
posizione analoga è quella espressa da Peter Golden in relazione
all'origine cazara degli Ebrei della Lituania e della Russia Bianca:
"E' molto probabile che elementi cazari giudaizzati, specialmente quelli
che si erano acculturati nelle città, abbiano contribuito alla
formazione delle comunità ebraiche slavofone della Russia kievana, le
quali vennero definitivamente assorbite da Ebrei di lingua yiddish che
dalla Polonia e dall'Europa centrale entrarono in Ucraina e in
Bielorussia" (Peter B. Golden, An Introduction to the History of the Turkic Peoples, Otto Harassowitz, Wiesbaden, 1992, pp. 243-244). Secondo
i criteri genealogici di matrice veterotestamentaria, i Cazari non
appartenevano alla discendenza di Sem, né tanto meno a quella di Cam,
bensì a quella di Jafet: la letteratura ecclesiastica altomedioevale li
dice infatti "figli di Magog" o comunque li localizza "nelle terre di
Gog e Magog", mentre Ibn Fadlan li identifica tout court coi coranici Ya'jûj e Ma'jûj. Da
Teofane il Confessore, che li definì "Turchi orientali", fino a Lev
Gumilëv, che vide in loro un gruppo daghestano o sarmatico o alano
turchizzato, gli storici e gli etnologi li hanno ricollegati, in un
modo o nell'altro, alla famiglia dei popoli turchi. In
ogni caso, "una risposta definitiva circa le origini dei Cazari non è
ancora disponibile. Deve essere comunque sottolineato il fatto che
nella formazione del popolo cazaro è comprovata l'importanza di
migrazioni da est ad ovest" (K. A. Brook, The Jews of Khazaria, cit., p. 6).
4.
La
prima apparizione dei Cazari sulla scena della storia non è databile
con certezza. Alcuni la fanno risalire a poco prima del 198 d. C.,
quando occuparono una parte della zona caucasica e le sponde
nordoccidentali del Caspio; secondo altri, il gruppo cazaro sarebbe
emerso durante la Völkerwanderung provocata
nel 350 dalla vittoria degli Unni sugli Alani; altri ancora ne
collocano la formazione verso la fine del VI secolo. In seguito
"l'entità cazara (...) spostando progressivamente il proprio centro di
gravità dall'area caspica al Mar Nero, riunì etnie assai differenti"
(Francis Conte, Gli Slavi. Le civiltà dell'Europa centrale e orientale,
Einaudi, Torino, 1990, p. 412), aggiungendo in particolare una
componente etnica iranica (gli Alani) all'originario elemento turcico.
"Tale commistione etnica fu certamente conseguenza della posizione
dello Stato chazaro, fulcro delle grandi vie commerciali che
congiungevano l'Oriente all'Occidente, il Nord al Sud; crocevia di
traffici, sorta di piattaforma girevole, non solo esercitò la propria
funzione nello scambio dei beni materiali, ma anche nella diffusione
delle idee e delle religioni" (Idem, op. cit., pp. 412-413). Sul
decisivo ruolo geopolitico e geostrategico del regno cazaro insiste
Arthur Koestler. "Il paese occupato dai Cazari, una popolazione di
origine turca, occupava una posizione strategica sul vitale passaggio
tra il Mar Nero e il Mar Caspio, dove le grandi potenze orientali
dell'epoca si confrontavano tra loro. Funzionò da stato-cuscinetto a
protezione dell'impero bizantino dalle invasioni delle rudi tribù
barbare delle steppe nordiche: Bulgari, Magiari, Peceneghi ecc., e più
tardi Vichinghi e Russi. Altrettanto, se non più importante dal punto
di vista della diplomazia bizantina e della storia europea, fu
l'efficace opera di contenimento esercitata dalle armate cazare nei
confronti della valanga araba nei suoi primi e più devastanti stadi,
un'opera che impedì la conquista musulmana dell'Europa orientale"
(Arthur Koestler, La tredicesima tribù. Storia dei cazari dal Medioevo all'Olocausto ebraico, cit., p. 5). Prima di Koestler, già D. M. Dunlop aveva rivendicato al regno cazaro la funzione di antemurale christianitatis:
"E' quasi certo che, se non ci fossero stati i Cazari nella regione a
nord del Caucaso, la stessa Bisanzio, baluardo della civiltà europea in
Oriente, si sarebbe trovata circondata dagli Arabi e la storia della
Cristianità e dell'Islam forse sarebbe stata assai diversa da quella
che conosciamo" (D.M. Dunlop, The History of the Jewish Khazars, Princeton University Press, Princeton 1954, p. x). Quello
che si può dire con certezza è che la conquista della Persia, seguita
alle vittoriose campagne del Califfo Omar contro i Sassanidi (634-642),
aveva esteso fino a Tiflis e a Derbent i confini settentrionali del dâr al-islâm,
cosicché la Cazaria costituiva l'ostacolo che impediva alle armate
musulmane di avanzare nelle pianure meridionali della Russia, da dove
avrebbero potuto procedere all'accerchiamento dell'impero bizantino.
Oltrepassato il Don, occupata l'odierna Ucraina fino al Dnepr e buona
parte della Crimea, i Cazari si vennero a trovare al crocevia delle
aree geopolitiche islamica e cristiana, ragion per cui il loro ceto
dirigente ritenne necessario assumere un'identità religiosa nettamente
distinta da quella dei popoli vicini. Solzhenitsyn
riassume nei termini seguenti questo momento cruciale della loro
storia: "I capi etnici dei turco-cazari (all'epoca idolatri) non
accettavano né l'islam (per non doversi sottomettere al califfo di
Bagdad), né il cristianesimo (per evitare la tutela dell'imperatore di
Bisanzio). Così, circa 732 tribù adottarono la religione giudaica"
(Aleksandr Solgenitsin, Due secoli insieme. Ebrei e Russi prima della rivoluzione, cit., vol. I, pp. 13-14). In
realtà, non è affatto sicuro che la giudaizzazione di una parte del
popolo cazaro abbia avuto luogo dopo la nascita del Califfato abbaside,
la quale ebbe luogo nel 750. È vero che al- Mas'ûdî fa risalire tale
conversione agli ultimi anni del secolo VIII, ma "altre fonti orientali
dichiarano il ceto dirigente chazaro - e soprattutto il khagân - convertito fin dal 730-'31" (F. Conte, op. cit.,
p. 413). A tale conversione si riferisce un'opera scritta in arabo
intorno al 1140 da un intellettuale dell'ebraismo spagnolo, Yehudah ben
Shemu'el ha-Lewi (1086-1141 ca.), e intitolata Al-hujjah wa'd-dalîl fî nasr ad-dîn adh-dhalîl (Argomentazione e dimostrazione in difesa della religione disprezzata). L'opera, nota altresì come Kuzârî (Yehudah ha-Lewi, Il re dei Khàzari, Bollati Boringhieri, Torino, 1991), riporta il dialogo che sarebbe avvenuto tra il re (bek)
cazaro Bulan ed un rabbino. Il sovrano, indotto da un angelo a
svolgere un'indagine sulle religioni, si rivolge prima ad un filosofo,
poi a un teologo cristiano, quindi a un sapiente musulmano, ma nessuno
di costoro soddisfa le sue esigenze. Ovviamente sarà un rabbino a
convincerlo della superiorità del giudaismo e a persuaderlo a
convertirsi. La
conversione non dovette comunque essere molto stabile, dal momento che
nell'860, indotto dalla pressione islamica ad avvicinarsi a Bisanzio,
il bek dei Cazari chiese al basileus di inviare in Cazaria un teologo cristiano capace di "replicare alle argomentazioni degli Ebrei e dei Saraceni" (F. Dvornik, Les légendes de Constantin et de Méthode vues de Byzance,
Prague, p. 168). Il compito di evangelizzare i Cazari, affidato a un
uomo dotto e pio che col nome di Cirillo sarebbe poi diventato celebre
come "apostolo degli Slavi", non sortì grandi risultati: i neofiti
cristiani non furono più di duecento, mentre il bek e
l'aristocrazia cazara restarono fedeli al giudaismo. Secondo le fonti
islamiche coeve, "per ottenere la pace e mettere fine alla lotta che li
opponeva al Califfato, i Chazari dovettero promettere di accogliere il
credo dell'Islam. (...) E d'altronde, alleggeritasi la minaccia araba
nei decenni successivi, i Chazari conservarono alla propria guida un'élite impregnata di ebraismo" (F. Conte, op. cit., pp. 414-415). A fornirci alcune notizie su questa élite è la Risposta del Re Giuseppe,
inviata intorno al 955 da un sovrano cazaro all'ebreo cordovano Hasdai
ibn Shaprut, il quale gli aveva scritto per avere la conferma della
notizia relativa all'esistenza di un regno giudaico. Dopo avere
rievocato la conversione del suo antenato Bulan, il re cazaro Giuseppe
scrive: "Dai figli dei suoi figli sorse un re chiamato Obadia. Era un
uomo retto e giusto. Riorganizzò il regno e istituì la religione in
maniera corretta e irreprensibile. Costruì sinagoghe e scuole, fece
venire molti dotti israeliti e li onorò con oro ed argento, ed essi gli
spiegarono i ventiquattro libri [della Torah], la Mishnah, il Talmud e
l'ordine delle preghiere dei Khazzan" (Letter from Rabbi Chisdai to King Joseph, in: Yehuda HaLevi, The Kuzari: In Defense of the Despised Faith, Jason
Aronson, Northvale, 1998, p. 349). A Obadia sarebbe succeduta una
serie di sovrani dai nomi biblici: Ezechia, Manasse I, Hanukkah,
Isacco, Zebulone, Manasse II, Nisi, Aronne I, Menahem, Beniamino,
Aronne II, Giuseppe. Sembra lecito supporre che questa aristocrazia
ebraizzata rispondesse all'attività evangelizzatrice di Bisanzio
facendosi promotrice essa stessa di iniziative missionarie, intese ad
acquisire al giudaismo buona parte della popolazione cazara. La cosiddetta Cronaca di Nestore (il Povest' vremennych let)
testimonia inoltre della sottomissione di alcune tribù slave da parte
dei Cazari. Alla metà del secolo IX i Cazari attaccarono gli Slavi del
medio Dnepr, i Poliani, e imposero loro il pagamento di un tributo. "I
Poliani, - si legge nella parte iniziale, non datata, della Cronaca -
dopo essersi consultati, dettero una spada per focolare, e [le spade]
portarono i Chazari al proprio principe e ai propri anziani" (Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII,
Einaudi, Torino, 1971, p. 10). E in corrispondenza dell'anno 859
("Anno 6367") viene ricordato che i Cazari riscuotevano il tributo non
solo dai Poliani, ma anche da altre tribù slave: "dai Severiani e dai
Vjatici riscotevano monete d'argento e pelle di scoiattolo per ogni
focolare" (Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII,
cit., p. 11). Venticinque anni più tardi però il principe Oleg, figlio
del capostipite dei principi della Rus', vinse i Severiani "e non
permise loro di pagare tributo ai Chazari" (Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII,
cit., p. 14); analogo divieto impose ai Radimici. Nel 965 "mosse
Svjatoslav contro i Chazari; avendo avuto sentore di ciò, i Chazari gli
andarono incontro guidati dal loro principe Kagan, e si scontrarono, e
nella battaglia Svjatoslav sopraffece i Chazari e ne conquistò la
città di Belaja Vezha" (Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII,
cit., p. 37), ossia l'odierna Sarkel, sul Don. "Nel 969, - scrive
Solzhenitsyn - i russi occupavano tutto il bacino del Volga, con Itil
[la capitale della Cazaria], e le navi russe facevano la loro
apparizione presso Semender, sul litorale di Derbent" (A. Solgenitsin, op. cit., p. 14). Sconfitti
sul campo, i Cazari fecero ricorso all'arma religiosa. Nel 984, "sullo
sfondo degli scambi intensi fra le terre slave e l'Oriente islamico in
un'epoca in cui il Volga era un asse di comunicazione primario [e]
numerosi musulmani soggiornavano a Kiev accanto a Cazari ebrei e ricchi
mercanti latini o bizantini" (F. Conte, op. cit.,
p. 412), una delegazione cazara si recò a Kiev allo scopo di
convertire il principe Vladimir, che quattro anni prima si era
impadronito del trono. Da parte sua, la Rus' kievana si trovava davanti
alla necessità di una scelta di campo geopolitica e religiosa da
attuarsi tra Bisanzio, l'Occidente romano-germanico, l'area islamica e
l'impero cazaro. "È la stessa cerimonia della conversione di Bulan" (Aldo C. Marturano, Mescekh. Il paese degli ebrei dimenticati, Atena, Poggiardo, 2004, p. 162), ma stavolta la scelta è diversa. Respinte le proposte
di adesione all'Islam fattegli dai Bulgari della Volga (e "si rifletta
su quel che sarebbe potuto accadere qualora il primo Stato russo si
fosse volto all'Islam: l'avvento di una vera e propria potenza
eurasiatica che il lungo periodo del 'giogo' tataro avrebbe ancor più
ancorato all'Asia") (F. Conte, ibidem), il principe Vladimir rifiutò
parimenti le sollecitazioni della delegazione cattolica di rito latino.
Quindi diede udienza agli ambasciatori cazari, che lo invitarono ad
abbracciare il giudaismo. La Cronaca di Nestore registra la replica del
principe: "Come istruite gli altri se voi stessi siete stati respinti
da Dio e dispersi? Se Dio avesse amato voi e la fede vostra, allora voi
non sareste stati dispersi per le terre straniere. O volete che ciò
avvenga anche a noi?" (Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII,
cit., p. 50). Alla fine, come è noto, Vladimir accettò il battesimo
secondo il rito greco e sposò una sorella di Basilio II, aprendo così
la Russia alla civiltà bizantina. Ebbe inizio in tal modo una diaspora che diffuse in tutta l'Europa centro-orientale i residui dell'ebraismo cazaro. In
questo modo, a contraddire la tesi del "ritorno" degli Ebrei nella
loro presunta "patria" palestinese dopo i presunti 1878 anni di esilio
(dalla distruzione del Tempio fatta dai Romani fino alla proclamazione
del cosiddetto "Stato d'Israele"), è proprio la discendenza degli Ebrei
aschenaziti dell'Europa orientale dal popolo cazaro, che di radici nel
Vicino Oriente non ne aveva affatto. Quanto
agli Ebrei sefarditi, la loro discendenza dalle dodici tribù è stata
messa seriamente in questione dall'opera di Shlomo Sand che ho citata
all'inizio. Ma questa è, per l'appunto, un'altra storia.
Università di Teramo, 26 giugno 2010