Il complesso di Orfeo Roberto PECCHIOLI
Il complesso di Orfeo Roberto PECCHIOLI
L'uomo contemporaneo corre. Non si ferma mai, non prende fiato, non ha una meta , non conosce limiti, né, in fondo, ha altro obiettivo che la corsa. Ha creduto nel mito del progresso lineare: più di ieri, meno di domani, come le promesse d'amore d' altri tempi. Nel mondo liquido, affrettarsi è insieme mezzo e fine. Un intellettuale francese, Paul Virilio, definì questo modo di essere dromocrazia, il potere della velocità, che nella lingua delle tecnologie digitali si chiama tempo reale, l'immediatezza programmatica che diventa insofferenza, incapacità di attendere, tempo che rotola su se stesso. Prosaicamente, un gatto che si morde la coda e, come in una vecchia canzone, " non sa che la coda è sua". Uno degli imperativi della corsa è non guardare mai indietro. Ovvio, se tutto ciò che è passato è "meno" rispetto al "più "successivo. Strano che non ci si interroghi mai su un progresso avvitato su se stesso, concentrato nella corsa, che diventa istantaneamente passato. Ne fece il ritratto il poeta Antonio Machado : "Viandante, sono le tue orme /il cammino, e niente più/ viandante, non c'è cammino/ la via si fa andando./ Andando si fa il cammino/ e nel rivolgere indietro lo sguardo / si vede il sentiero che mai /si tornerà a calpestare./ Viandante, non c'è cammino/ solo scie nel mare. " Un manifesto suggestivo, scintillante ma terribile, del nichilismo contemporaneo.
Jean Pierre Michéa, pensatore francese, ha definito complesso di Orfeo la corsa di chi non si volta mai, attribuendolo alle ideologie e alle culture di sinistra. Chi scrive ritiene invece che del complesso di Orfeo soffra quasi tutta la cultura contemporanea. La sua corsa crea scie momentanee, increspature del mare presto inghiottite dall'onda successiva, cancella la memoria, oblitera il ricordo, lascia in balia di un eterno presente. Nel mito greco, Orfeo era un musicista. Suonava la lira come nessun altro e, morta l'amatissima Euridice, andò a ritrovarla nell'Ade, l'oltremondo degli antichi. Con la musica riuscì ad ammansire il duro guardiano degli inferi, Caronte, e il cane Cerbero. Gli venne concesso di riportare alla luce Euridice a condizione di non volgere mai indietro lo sguardo sino all'uscita dell'Ade. Orfeo corre e supera la prova, ma gira il capo per rivedere il volto dell'amata che non aveva ancora superato la soglia. Il castigo è immediato: Euridice scompare lasciando Orfeo nel dolore, roso dal senso di colpa.
L'Orfeo postmoderno, al contrario, non si volta e non prova alcun rimorso. Indifferente al passato, ha la convinzione quasi religiosa ( tutte le ideologie sono, alla fine, teologie secolarizzate) che oggi sia sempre meglio di ieri, che il progresso – parola magica, caricata di un fascino esoterico- sia una marcia verso l'alto e verso il meglio. Perché voltarsi, dunque? Nel tempo liquido, poi, chi è Euridice, se non il retaggio di epoche in cui anche i sentimenti erano per sempre, non soggetti al progresso , ossia al cambiamento , per natura infedele? Le tradizioni devono essere interrotte (tradizione uguale trasmissione) , i principi ricevuti, i valori che ne scaturiscono vanno messi da parte, dimenticati senza volgersi indietro perché la storia ha un'unica direzione, avanti. L' uomo moderno ( ossia al modo odierno) non può cadere nella trappola sentimentale fatale ad Orfeo.
La domanda che sorge, al tempo in cui scienza e tecnica sembrano fornire tutte le risposte a un'umanità che non pone più domande, è : siamo proprio sicuri di essere in viaggio verso il meglio, in transito verso le magnifiche sorti e progressive, oppure la marcia si è interrotta o addirittura invertita? Chi ha il complesso di Orfeo non ha dubbi: le cose vanno per il meglio. O forse no, qualche esitazione serpeggia. Se prima la causa del progresso e quella delle masse popolari erano tutt'uno, oggi le cose sono più sfumate. Il complesso di Orfeo è avanguardista, pronto a seguire il nuovo, il vento della storia. Il problema è che sta perdendo il popolo, che si volta perplesso e non sembra accogliere più con entusiasmo il progresso. La risposta di chi ha il complesso di Orfeo è semplice: noi siamo in anticipo rispetto alla massa, al popolo, che certe cose non le comprende. Intellettuali e artisti propendono per la globalizzazione, la gente comune no.
Giusto eliminare i confini (retaggio retrogrado del passato), le appartenenze e le identità comuni (altro segno di ieri) . La rimozione delle barriere, degli ostacoli, dei limiti, si estende ai vincoli familiari. Stupida l' idea che per avere figli occorra essere sposati: l'Orfeo contemporaneo lascerebbe Euridice al suo destino, e viceversa; antiquata l'idea che il matrimonio sia tra un uomo e una donna, anti tecnologico che la procreazione sia legata all'incontro tra i due sessi. Orfeo è irritato dall'idea che il suo bagaglio biologico derivi dalla natura e dai genitori; che non si possa scegliere liberamente ed eventualmente revocare ( i tempi sono liquidi, le identità fluide, i cervelli gassosi) il proprio aspetto, nome, sesso, anzi genere. Non sopporta di essere gettato nel mondo per scelta altrui, di quei genitori dai quali riceve geni, tratti somatici, luogo di nascita, cultura di appartenenza, lingua, buona parte dei gusti e delle propensioni.
Si nasce in un tempo e in uno spazio di cui Orfeo si sente prigioniero. Odia la realtà perché non l'ha scelta: ecco il vero peccato originale, ecco perché corre senza pensare. Il vero complesso è quello di Adamo, infastidito di essere creatura e non creatore. Come lui, ha ricevuto dei limiti a cui si è ribellato. Come Prometeo ha rubato il fuoco agli dei, scoprendo che brucia. Orfeo si considera un illuminato per cui, come intuì George Orwell, "la rivoluzione non è un movimento di masse alla quale associarsi, ma un insieme di riforme che noi, le persone intelligenti, imporremo alle classi popolari". Orfeo è progressista ma anche conservatore, nel senso che si tiene ben stretto il potere. Il suo orizzonte è una società aperta, senza frontiere né limiti, in cui tutti sono uguali, omologati dal capitale e dalla forma merce, fungibili, interscambiabili, spersonalizzati, indifferenziati e indifferenti.
Il rispetto del passato, la difesa delle peculiarità culturali e il senso dei limiti sono le teste mostruose dell'idra da abbattere. Il treno del progresso corre con moto accelerato verso un precipizio, ma non importa. Mai voltarsi indietro, avanti come l'automobile di Thelma e Louise lanciata nel burrone. La velocità impedisce di pensare, concentrata su se stessa. Poche sono le voci che invitano a una salutare lentezza, alla riflessione, a prendere fiato. Una apparteneva al filosofo Franco Cassano, il pensiero meridiano del sud del mondo che approfitta della calura di mezzogiorno per meditare, chiudere le imposte e vivere il tempo sospeso della sosta e del giudizio pacato, della valutazione dell'esistente. Orfeo è individualista, estraneo alla dimensione conviviale tematizzata da Ivan Illich. " La società che ne risulta, recisa dall'intenzione personale, ci appare come una danza della morte, uno spettacolo d'ombre generatrici di carenza "
Correre a perdifiato impedisce anche il pasto comune e familiare in cui si conversa e dibatte stando insieme, seduti e vicini; azzera le tradizioni gastronomiche a favore del cibo di strada distribuito dai nuovi schiavi in bicicletta delle multinazionali del fast food, l'alimentazione frettolosa che ingloba il pranzo solitario e iperveloce nel tempo del lavoro , come afferma l'espressione "pausa pranzo". Orfeo ama l'identico, è cittadino del Mac Mondo,il non luogo globale a misura dell'uomo a taglia unificata, che sceglie Mc Donald perché identico ovunque. Uguale il menù, uguali le uniformi dei dipendenti, uguali colori e spazi. Orfeo non impazzisce perché si è esentato dal pensare e finisce per approvare le agghiaccianti parole dell'icona pop Andy Warhol: la cosa più bella di Firenze è Mc Donald.
A tanto conduce l'assenza di memoria, l'ansia di cancellazione, la proibizione introiettata di voltarsi e osservare. L'uomo contemporaneo dipendente della fretta, nemico della pausa, dell'indugio riflessivo ( il benefico otium romano, tregua al frenetico negotium) si libera del passato in quanto odia non averlo determinato. Il passato sussiste indipendentemente da lui. Analogo fastidio procura il futuro, che non gli apparterrà: Orfeo è il presente, smemorato e senza obiettivi diversi dal piacere immediato vissuto in termini di consumo. Fine della memoria a lungo termine a favore del tempo reale. Finisce anche la selettività dei ricordi che mette al riparo dall'angoscia. Ne fu minuzioso analista Borges nel racconto Funes il memorioso, l'uomo che ricordava tutto, sino a morire travolto dall'accumulo di ricordi che non può selezionare né abbandonare. Funes è l'antitesi di Orfeo, la prova che l'uomo ha bisogno di equilibrio tra memoria ed oblio, di scegliere ciò che va conservato. La cultura della cancellazione è soffocante quanto e più del culto acritico del passato, perché espropria dell'eredità in nome di nulla. Siamo ancora umani, privi di pensiero critico, devoti della lavagna vuota? Ciò che cancelliamo è non solo il legato di ieri, ma quello che abbiamo in comune con gli altri. Orfeo non si volta più verso il volto di Euridice perché questa è il legame, l'Altro che non cerchiamo più, il filo amoroso tra ieri e domani.
Abbiamo bisogno di tornare alla saggezza romana, con la sua rappresentazione del dio bifronte, Giano, i cui due volti guardano sia avanti che indietro. Lontana dal torcicollo di chi si rifugia in un passato immaginario idealizzato in un'Arcadia inesistente e di chi fa tabula rasa rifiutando l'eredità, la civiltà italica immaginò una divinità che presiedeva a tutti gli inizi, ai passaggi e alle soglie, materiali e immateriali, unendo il tempo storico e quello mitico. Giano era detto Consivio, cioè propagatore del genere umano, della civiltà, delle istituzioni. Il dio bicefalo custodiva l'entrata e l'uscita tenendo in mano una chiave e un bastone, mentre le due facce vegliavano nelle due direzioni, passato e futuro. Orfeo ha fretta, corre ma è sconfitto perché si volta e perde Euridice; Giano guarda il futuro con un volto e con l'altro non perde di vista il passato. Il suo sguardo circolare tutto comprende e contiene: il contrario della superbia contemporanea, destinata a regnare solitaria sul deserto . Guai a chi cela deserti dentro di sé, scrisse Nietzsche. E guai a chi li attraversa correndo senza bussola e senza bisaccia.