La ragione populista (I) Roberto PECCHIOLI

La ragione populista (I) Roberto PECCHIOLI

Un civilissimo professore di orientamento progressista, al termine di una piacevole conversazione ferroviaria, mi ha assicurato che la visione politica ed esistenziale che ho espresso non è affatto di destra radicale, ma populista. Lo ha detto con malcelato disdegno mascherato dalla compiacenza che talvolta si riserva all' inferiore; il fatto è che ha ragione. Deposte nell'armadio degli oggetti inservibili le categorie del secolo passato, riconosciuto che di esse si può serbare un residuo sentimentale impossibile da riproporre politicamente, dopo aver visto nel corso di una vita svanire quasi del tutto una patria, una religione, una civiltà, quel che resta è il conflitto tra alto e basso, popoli ed élite o oligarchie.

Popoli al plurale, giacché appare evidente che il popolo italiano, tra denatalità, immigrazione e perdita di identità nazionale, civile, spirituale, non esista quasi più, come gli altri dell'Europa morente e dell'occidente al crepuscolo. Non resta che difendere, esprimere idealmente- e innanzitutto spiegare- la ragione populista che ancora ci anima. L'espressione è tratta dal titolo di un libro del 2005 dell'argentino Ernesto Laclau, marxista comunitarista ma soprattutto populista. L'opera di Laclau, deceduto nel 2014, profondo conoscitore di Antonio Gramsci e del concetto di egemonia, dimostra che il populismo è un orientamento che oltrepassa le tradizionali distinzioni tra destra e sinistra. Partiamo da Laclau non per subalternità culturale, bensì per rielaborare alcune sue cruciali intuizioni, al di là del linguaggio involuto, intellettualistico che ostenta. "Il populismo potrebbe rappresentare la strada maestra per comprendere qualcosa circa la costituzione ontologica del politico in quanto tale." Ossia possiede una dignità e centralità che permette di istituire nuovamente il popolo come categoria politica e ridare slancio alla partecipazione popolare in un'epoca dominata dal capitalismo globalizzato, falsamente depoliticizzato.

Per Laclau il populismo è "un modo di costruire il politico e non c'è intervento politico che non sia in qualche misura populista". Il popolo è secondo lui una costruzione politica, non qualcosa di dato. Concordiamo: a differenza della massa e della gente, ha coscienza di sé, quindi non c'è prima un popolo che poi si dà una certa organizzazione politica; è l'autoriconoscimento di una massa o di un gruppo umano che ne fa un popolo, benché la questione dell'identità resti ineludibile. In questo senso, il populismo è il processo mediante il quale una comunità si costituisce, si definisce, si rappresenta come una totalità, in contrapposizione a qualcuno o qualcosa riconosciuto come altro, estraneo e ostile. Un concetto assai simile alla distinzione amico/nemico tematizzata da Carl Schmitt. Nell' Ubu Re, la comica, spiazzante opera teatrale di Alfred Jarry, il protagonista esclama Viva la Polonia. Perché se non ci fosse la Polonia, non ci sarebbero i polacchi ! La Polonia è un "significante", con il linguaggio di Laclau, i polacchi sono il suo prodotto. Il popolo si riconosce cioè in una definizione che lo rappresenta e lo rende soggetto politico.

Interessante è la critica di Laclau a una famosa espressione di Margaret Thatcher: la società non esiste. Per i liberali ciò che definiamo società si risolve nelle interazioni tra individui, ciascuno con proprie credenze e desideri: è la base ontologica del liberismo/liberalismo. Per Laclau all'origine delle contrapposizioni politiche ci sono delle domande-lamentele avanzate dagli agenti sociali. La genealogia del politico inizia dall'esistenza di una domanda. Nel caso del populismo – e del popolo che si forma e si riconosce – l'esigenza di essere ascoltati, di contare, di porsi come elemento attivo in contrapposizione alle élite, indifferenti alla domande e lamentele popolari, avversarie degli interessi concreti del popolo e ai principi in cui esso crede . Il populismo, in definitiva, è un'esigenza simile alla suggestiva definizione di democrazia del rivoluzionario-conservatore Arthur Moeller Van den Bruck: la partecipazione di un popolo al proprio destino. Ben distinto dalla rappresentanza mediata dalla democrazia/plutocrazia, cioè dall'egemonia di chi dirige dall'alto scelte e procedure chiamate democratiche mediante il potere del denaro che tutto compra.

La conseguenza è il mercato politico, la bancarella delle offerte, che, come sa il buon commerciante, deve soddisfare ogni richiesta del cliente. Una spruzzata di destra, una di sinistra e una grande, limacciosa palude centrale – il prodotto standard - in cui si incontrano soprattutto interessi. Concetti estranei alla vigenza dell'asse oppositivo sinistra/destra. Un salto logico, mentale e politico sgradito soprattutto a sinistra. Già nel 1930 il filosofo Emile-Auguste Chartier, conosciuto come Alain, scriveva " quando mi si chiede se la frattura tra partiti di destra e partiti di sinistra, uomini di destra e uomini di sinistra, abbia ancora un senso, la prima idea che mi viene è che l'uomo che pone questa domanda non è certamente un uomo di sinistra. "

Vero, ma non è la risposta alla domanda sulla validità della coppia oppositiva. E' piuttosto una ragione per cui il populismo è così inviso alla sinistra- oltreché presso i liberali e le destre classiche- nella convinzione (in parte moralistica, in parte suprematista) che essere di sinistra significa credere per fede alla validità perenne delle categorie di destra e sinistra in quanto assi di una concezione manichea del bene e del male. Revocata in dubbio dal senso comune, dalla trasversalità populista e dall'emersione di contrapposizioni situate su altri piani: basso contro alto, centro/periferia e soprattutto popolo contro élite o se preferite classi dirigenti contro il resto della popolazione. Il merito di Laclau, ai nostri occhi, è di avere contribuito ad allontanare il popolo dall'alternativa incapacitante tra neomarxismo e neo liber(al)ismo.

Resta un'operazione di capitale importanza, costruire la ragione populista. Non è che il popolo abbia sempre ragione o che parli per bocca di qualcuno in particolare. Il problema è che la forma concreta , la prassi stessa della democrazia liberale sembra dare per scontato che abbia sempre torto, che debba essere ridotto al silenzio, meglio ancora rieducato. Un'operazione che dovrebbe ripugnare alla sinistra storica, un po' meno alla destra, ma che è diventata la regola dell'occidente terminale. La democrazia ormai postera di se stessa ( i casi romeno, francese, tedesco degli ultimi mesi sono troppo evidenti e troppo simili per essere indizi isolati ) soffre di paranoia, il delirio di chi vede nemici ovunque. La narrazione mediatico-istituzionale mainstream asserisce che la democrazia è una fortezza sotto assedio, un nobile baluardo minacciato da forze oscure unite da un tratto comune, l'idolatria o l'ipostatizzazione del popolo.

In un rapporto commissionato per costruire una dottrina antipopulista, un gruppo di "esperti" ( ecco una parola odiata dai populisti di ogni ordine e grado!) ha delineato una geografia internazionale del populismo. Limitandosi all'Occidente, ha individuato ben ventidue paesi affetti dall'epidemia populista sulle due sponde dell'Atlantico. Il testo parla con toni allarmati di una democrazia contratta, che si restringe come la Pelle di Zigrino del romanzo di Balzac ogni volta che realizza un desiderio. Non li sfiora il dubbio che non si può evocare la democrazia h.24 senza che il popolo voglia levare la propria voce e pretendere che sia ascoltata. La pelle di zigrino si restringe precisamente perché si estende l'influenza, il potere, l'arroganza di ceti, gruppi, poteri estranei al popolo, nemici della sostanza della democrazia e della libertà. Paranoia antipopulista di chi vede attorno a sé solo nemici dell'idealizzata società aperta . Chi vede dovunque mostri malvagi e disumani forse dovrebbe guardarsi allo specchio, poiché anormale è il paranoico, non il mondo circostante.

Con il metodo della decostruzione, tentiamo di smontare pezzo per pezzo la narrativa antipopulista. Se esaminiamo le tesi dei suoi avversari, ci accorgiamo che quasi tutte condividono tre caratteristiche: un'animosità radicale verso il populismo; il rifiuto di ogni tentativo di comprenderlo da dentro, analizzandone razionalmente ragioni e pulsioni; la difesa auto compiaciuta dello status quo. Le caratterizzazioni del populismo sono raggruppate in griglie interpretative che corrispondono ad altrettanti luoghi comuni. Vi è un approccio psicologizzante, fobica, secondo il quale il populismo è una patologia guidata dalla paura, dal risentimento e dall'ignoranza. L'élite e i suoi ceti di servizio ritengono di essere gli unici a possedere intelligenza, lungimiranza, cultura, capacità politica, dunque si considerano i soli titolati a dirigere la società. Strana concezione della "loro" democrazia. Il populista , in quest'ottica, è un rozzo incolto che disprezza quanto ignora..

Vi è poi la sentenza marxista: il populismo è una strategia difensiva del capitale- un'altra- come a suo tempo lo fu il fascismo. Una conclusione banale, stizzita, analiticamente monca in quanto riduce l'umano – e il politico- alla dimensione dell'interesse economico, una prova in più che marxismo e liberalismo sono fratelli e che è il secondo a dirigere il primo. Un terzo argomento, francamente risibile ed elitista è che il populismo sia un'anti-politica, una volgare semplificazione di realtà complesse. Quanto riferito sulle riflessioni di Laclau basta a smontare la tesi, inficiata peraltro anche dal fastidio che unisce destre e sinistre classiche nei confronti della partecipazione politica diretta dei popoli. Non parlate al manovratore, come negli avvisi sui mezzi di trasporto, intimano all'unisono le correnti del sistema. Lasciate fare a noi, voi che ne sapete dei problemi ? Ne sappiamo quanto ci dite voi , quindi la nostra eventuale inadeguatezza è responsabilità vostra.

Infine vi è l'approccio sbrigativo, apertamente demonizzante: il populismo è anti-pluralista, anti-liberale e rappresenta un pericolo per la democrazia. Argomenti orwelliani, nel senso che affermano il contrario della verità in un linguaggio invertito, sottilmente totalitario. Postulano cioè un mondo in cui sono vere e giuste alcune idee e visioni del mondo senza prendersi il disturbo di definirle, tanto meno argomentarle. Dobbiamo essere liberali, avere fede nelle forme vigenti del potere reale e in un equivoco pluralismo da cui viene espulso il soggetto, il popolo stesso, per sospetto di antipluralismo. Paradossale.

Nella seconda parte tenteremo di decostruire analiticamente i quattro argomenti anti populisti, uniti da un'inedita tendenza politica, coerente esito post moderno e post democratico della società aperta, la tolleranza intollerante .    

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