La terra dei figli Roberto PECCHIOLI

La terra dei figli Roberto PECCHIOLI

Patria significa terra dei padri. Poco siamo e nulla saremo senza l'eredità di chi ci ha preceduto. Ma è anche la terra dei figli. Lo diceva Nietzsche ( Land der Kinder) comprendendo che idee, civiltà, modi di essere, non valgono se non diventano patrimonio da trasmettere. Perciò chi scrive è impressionato dal mondo giovanile. Turba l'indifferenza, la non partecipazione, l' apatia ( vera o apparente?) verso temi e battaglie importanti, la frontiera di linguaggio, vita, abitudini tra le generazioni. La terra dei padri non è la più la terra dei figli e il disincanto del mondo, la volontà di provare, bruciare esperienze in fretta, tutto e subito, la dimensione soggettiva e insieme conformista – il conformismo della trasgressione - sembra l'unico elemento visibile della terra dei figli che noi non abitiamo.

In pochi ambiti è così tangibile la frattura quanto nel campo della sessualità. Confessiamo la nostra incapacità di comprendere. Pochi giorni fa chi scrive su un pullman di linea condivideva le ultime file con un gruppo di studenti delle superiori, tutti intorno ai sedici anni. Colpiva il silenzio di troppi, curvi sullo smartphone, intenti a postare freneticamente messaggi sui social media. Abbiamo però ascoltato un dialogo tra una ragazzina, il suo "tipo" e altri due ragazzi maschi. Il tema era- scusandoci per il linguaggio- sono una puttana? La giovanissima- né bella né brutta, non più sboccata di tante altre, dolce nel sorriso ancora infantile, era confusa. Ammetteva rapporti sessuali ( "lo abbiamo fatto") con il precedente fidanzatino, oltreché con quello in carica, che ascoltava descrizioni minuziose senza apparenti reazioni. Non sono una puttana, diceva, se alla fine "l'ho fatto" solo con due ragazzi. I maschi annuivano: le ragazze che non lo fanno sono "suore".

Secondo contatto. Di ritorno da una cena, lo scrivano in una sera prefestiva si è imbattuto in uno sciame di ragazzi in corsa verso la movida cittadina. Bottiglie di birra, il dolciastro delle canne, le giuste risate dell'adolescenza, il turpiloquio di ordinanza, bestemmie comprese, più brutte sulla bocca delle ragazzine. Colpiva soprattutto l'abbigliamento: trasandato quello maschile, tra felpe con cappuccio dai ghirigori incomprensibili ai jeans sdruciti. Inconsapevoli di essere in uniforme. Le ragazze- in gran parte dai quattordici ai sedici anni- erano sostanzialmente svestite, nonostante la primavera tutt'altro che tiepida. Abbondavano gli starnuti e i fazzolettini da naso. Abbiamo provato uno strano sentimento, non di ipocrita moralismo ( non possiamo dire di non avere occhieggiato i corpi esposti) piuttosto di estraneità, l' incomprensione profonda per un universo di cui non conosciamo i codici.

Una ragazza davvero graziosa, di fattezze nordafricane, raccontava di essersi cambiata d'abito nei gabinetti del treno con la complicità di un'amica, una biondina dal trucco pesante, come quasi tutte le altre. Solo i genitori musulmani si inquietano per l'abbigliamento delle giovanissime, così simile a quello delle ragazze di pochi anni più grandi costrette alla prostituzione? Ci è sembrato che maschi e femmine- pur così vicini, promiscui- parlassero e sghignazzassero soprattutto tra loro, in un singolare apartheid sessuale. Non sappiamo capire, tanto meno giudicare. Se le generazioni ultime sono quel che sono non è per loro colpa. Rappresentano senza filtri, gusti, atteggiamenti, linguaggi che imitano dal mondo degli adulti, della moda, dei generi musicali che ascoltano. La prima cosa che ci è venuta in mente è il titolo di un film di qualche anno fa: chiedimi se sono felice. Non sembra, se l'euforia è prodotta da pillole, cocktail di beveroni e altre sostanze. Felicità povera, se determinata dal marchio dei capi di vestiario e degli accessori e se deve esplodere a orari fissi nelle notti di fine settimana, tra musiche assordanti, luci accecanti, discoteche e transumanze di gruppo da un locale all'altro, sino allo sfinimento.

Perfino un'icona progressista, Concita De Gregorio, sul giornale simbolo di quel mondo, Repubblica, è sembrata in difficoltà. Si è accorta della scomparsa degli italiani per denatalità, del deserto che avanza e delle oasi che si diradano. Depreca fenomeni che anche noi contestiamo. Benvenuta, brillante maestrina dalla penna fucsia, ma fatti qualche domanda. Il mondo che comincia a non piacerti più ( ah, la vecchiaia che arriva, perché di anni ne hai sessantadue, nonostante l'aspetto senza età) è quello che è precisamente per le idee che anche tu hai diffuso, praticato, probabilmente trasmesso ai tuoi quattro figli. Dove sono, dov'erano – quando c'erano- genitori e nonni degli ultimi trenta- quarant'anni, che hanno rinunciato a educare, trasmettere, proibire ( sì, proibire) in nome di una libertà priva di direzione che adesso mostra tutte le sue incongruenze ? Soprattutto, ci sembra gravemente sottovalutato l'impatto della rivoluzione che oggi vede la sessualizzazione precoce perfino dei bambini ed esclude- sempre in nome di una libertà senza responsabilità- le regole, i limiti, l'educazione alla vita.

I ragazzi , oggi più che mai, non fanno che scimmiottare modelli sociali vincenti: denaro, successo, apparenza, consumo bulimico di esperienze. Già vecchi dentro all'alba della vita per eccesso di dejà vu, di già vissuto. Enormi sono le responsabilità delle culture dominanti, dai residui del Sessantotto alla regola dell'assenza di regole (Foucault). La vita delle ultime generazioni cresce come un rizoma, l' escrescenza informe, parola chiave di Gilles Deleuze, un altro dei troppi cattivi maestri dell'ultimo, devastante mezzo secolo.

Nulla di grande accade nella vita dei mortali senza una maledizione, cantava il coro di Antigone, la tragedia della legge morale contro la legge degli uomini. Non c'è dubbio che il sesso sia una cosa grandiosa quanto complessa, potente, avvolgente e travolgente. Le generazioni antiche idearono miti, tabù, recinti morali per impedire ai giovani di avvicinarsi troppo presto a un mostro che avrebbe potuto divorarli. Ora ci siamo liberati di ogni fardello, proclamando la superiorità del progresso, della modernità e dell'emancipazione da tutti i legami che restringevano la volontà ma orientavano gli istinti. Nel fatidico 1968 si affermò che ogni limitazione dei desideri/istinti/capricci doveva essere abbattuta. Una delle figure dell'epoca fu Firestone, femminista della seconda ondata, pseudonimo della fondatrice del gruppo New York Radical Women. La sua tesi era che le donne dovevano rinunciare alla maternità, alla famiglia e all'amore romantico. Solo al di fuori del ruolo di moglie e madre ogni donna può godere di piena libertà sessuale senza restrizioni. "Una pansessualità senza freni probabilmente sostituirà l'eterosessualità/omosessualità/bisessualità e potrebbe presto arrivare il giorno in cui una sana transessualità verrà stabilita come norma".

La ragazzina dell' autobus non pensa cose simili, perché conserva una coscienza, stando ai dialoghi un po' ingenui con i coetanei. Anche Concita perplessa probabilmente, nell'intimo, comprende che un mondo così non funziona. Troppo tardi. Firestone fantasticava di un futuro in cui le tecnologie riproduttive avrebbero sostituito le donne nelle gravidanze, dissolvendo tutti i legami familiari al punto che "se il bambino scegliesse rapporti sessuali con adulti, anche se scegliesse la propria madre genetica, non ci sarebbe alcuna ragione a priori per cui lei dovrebbe rifiutare le sue avances sessuali, poiché il tabù dell'incesto avrebbe perso la sua funzione". Firestone non ebbe mai relazioni stabili e finì per morire da sola, forse addirittura di fame. Sarebbe stato vano chiederle se fosse felice.

Il disincanto del mondo, conseguenza della proclamata illuminata, libera razionalità, ha tolto a ogni esperienza la sua aura, il suo significato profondo. La sessualità, in particolare, viene vissuta come pulsione primordiale trasformata in prodotto di consumo, intrattenimento banale, esercizio ginnico privo di qualsiasi collegamento con i fondamenti della vita. Quanto ai sentimenti, pur impossibili da estirpare dal cuore umano, passano in secondo piano dinanzi all'egoismo narcisista, all'idea dell' altro come oggetto di piacere , quindi di consumo. Il disincanto sessuale è una conseguenza dell'enfasi sulla libertà astratta. Scrive una femminista anomala, Louise Perry, che il porno sta al sesso come McDonald's sta al cibo, OnlyFans sta al mercato matrimoniale come la fedina penale sta al mercato del lavoro, Tinder è paragonabile a un servizio di consegna di cibo a domicilio su Internet. La rivoluzione sessuale, aggiunge, ha portato la fine del matrimonio e un aumento della promiscuità che avvantaggia alcuni uomini e danneggia la maggior parte delle donne, che devono " mutilarsi emotivamente per soddisfare gli uomini ", fingendo che il sesso sia privo di profondi legami emotivi per non apparire antiquate.

I ragazzi e le ragazze non lo possono sapere. Nella terra dei figli abbiamo il dovere di gridare che la sessualizzazione precoce, la banalizzazione del sesso, la sua riduzione a pulsione, esibizione, consumo compulsivo, non rendono felici. Non liberano, inaugurano una nuova dipendenza. Se chiediamo ai giovanissimi se sono felici, non meravigliamoci delle risposte. Facciamo un esame di coscienza: la terra devastata dei padri e delle madri è la terra deserta dei figli.

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