NOSTALGIA DEL SACRO
di Roberto PECCHIOLI
La modernità, prodotto dell'illuminismo razionalista, ha preteso di abolire il sacro. L'interminabile postmodernità dà l'impressione di averne addirittura cancellato la memoria. Tuttavia, si avvertono segnali - deboli e contraddittori quanto si vuole- che il sacro non sia morto e stia riconquistando un suo spazio. Per ora, siamo nell'ambito della nostalgia, del sentimento doloroso della mancanza, di un assenza che destituisce di senso le esperienze della vita. Il sacro è un elemento della struttura della coscienza e non un momento della storia della coscienza. L'idea del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo dell'uomo per costruire un mondo che abbia un significato; riguarda lo spirito e la religione, ma eccede entrambe. Per Mircea Eliade, mitografo e storico delle religioni, si definisce sacro ciò che è connesso all'esperienza di una realtà totalmente diversa, rispetto alla quale l'uomo si sente radicalmente inferiore, subendone l'azione e restandone atterrito e insieme affascinato.
La nostalgia del sacro è oggetto di un penetrante saggio filosofico di Michel Maffesoli, sociologo e pensatore francese, figlio di un minatore italiano, docente di lungo corso, autodidatta in gioventù. Maffesoli, investigatore inesausto della postmodernità, è noto soprattutto per la teoria delle tribù e per gli studi sul nomadismo sociale e valoriale. Polverizzazione del corpo sociale, inaridimento delle istituzioni, crollo delle ideologie, trasmutazione dei valori: oltre la società di massa, Maffesoli coglie l'emersione di nuove figure di una socialità polimorfa, le tribù, appunto, reti, piccoli gruppi, aggregazioni effimere ed effervescenti come il tempo che viviamo, attraversato continuamente da flussi in movimento. Nel saggio Del nomadismo, per una sociologia dell'erranza, mostra che alla frantumazione della società corrisponde l'autonomia crescente del soggetto, che sperimenta l'immaginario, il piacere, il desiderio, il festivo, il sogno, diventate forme di dissoluzione dei vincoli. L'individuo postmoderno fluisce, circola senza sosta. E' un errante, nomade sulla scia casuale, momentanea delle pulsioni, dei gusti e delle fantasie.
Altrettanto cruciale è la visione della libertà postmoderna di Maffesoli: "la nozione di libertà non è più attuale. Ora come ora siamo più pensati di quello che noi pensiamo e siamo più agiti di quello che agiamo: questa constatazione definisce la mia concezione di quello che chiamo tribalismo: porre l'attenzione sull'esistenza di una dimensione di confusione, di contaminazione. Riscoperta della frontiera, della vulnerabilità, della morte. Ma anche del legame comunitario, dell'umiltà e del sacro. "Il sacro è il tema dell'ultimo libro di Maffesoli. Il titolo stesso, Nostalgia del sacro, è impegnativo e assertivo. Ancora più dirompente è la tesi che traspare da ogni pagina: il cattolicesimo è il rimedio alla modernità. Maffesoli affina la sua diagnosi della crisi della modernità e si mostra cautamente ottimista sull' avvento di un certo rinascimento postmoderno, i cui semi rinviene con audacia nel cattolicesimo tradizionale.
Teorico dell'avvento delle tribù molto prima che si parlasse di frantumazione della società in "arcipelaghi" non comunicanti, Maffesoli non rimpiange il declino della modernità, il graduale spegnersi dei Lumi. Sulle piste tracciate da Max Weber, ricorda che il disincanto moderno trova la sua fonte nel cristianesimo della Riforma. Il protestantesimo ha portato a una razionalizzazione generalizzata dell'esistenza e ha sottratto al divino le sue manifestazioni sensibili. La modernità razionalista omologante, dopo aver dominato il mondo per oltre due secoli, sta crollando sotto i nostri occhi. La tesi di Maffesoli è che si intravvede una rinascita della religione, pur tra le rovine della polverizzazione della società, del primato dell'immagine e della critica emotiva ed ecologica dell'antropocentrismo, del disimpegno politico delle giovani generazioni.
La modernità, insomma, è fragile anche se resta apparentemente dominante. Il suo software appartiene solo alle minoranze "vincenti". "E' normale sentire le élite moderne recitare, fino alla nausea, i loro incantesimi catechistici sulle cause e gli effetti di questo
progressismo semplificato: valori repubblicani, democrazia, individualismo, razionalismo illuminista, contratto sociale, secolarismo e altri luoghi comuni sulla stessa linea". Tra i progressisti come tra i conservatori del circo politico-mediatico, è difficile staccarsi da queste nozioni obsolete.
Se gli sconvolgimenti in corso e le loro conseguenze non devono essere nascosti, Michel
Oggi il mito progressista è saturo. Si basava su una concezione drammatica dell'esistenza, per cui ogni cosa doveva avere una soluzione. La formula di Karl Marx era: "L'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere". A questo ottimismo sta subentrando una concezione tragica, in sintonia con la saggezza popolare, consapevole che bisogna accettare ciò che accade e non c'è una soluzione a tutto. Il rullo compressore del razionalismo moderno considerò la religione oppio dei popoli. Maffesoli sottolinea al contrario che nel corso della storia le epidemie contribuirono al ritorno del religioso e alla nozione del sacro come elementi strutturanti dell'esistenza. "In questo senso, il religioso ci obbliga, andando oltre l'abituale denegazione propria dei semplicismi dell'ideologia progressista, a guardare in faccia la morte, come elemento fondamentale di ogni esistenza individuale e collettiva. Questa anamnesi della morte ci forza a essere più umili, a dar prova di una saggezza tradizionale che ritroviamo nella Genesi: polvere sei e polvere ritornerai."
La liturgia cattolica non smette(va) di ricordarlo, incoraggiando, al di sopra di qualsiasi egoismo materialista, a praticare la generosità, la solidarietà, la beneficenza proprie di ogni ideale comunitario: nostalgia del sacro che richiama le fondamenta della religione, il legame con l'alterità. La convinzione di Maffesoli, che facciamo nostra, è che "la volontà di produrre sempre di più e di intensificare gli scambi di beni del capitalismo mondializzato, l'ambizione di superare le leggi della natura, ha contribuito alla comparsa di questa pandemia. In contrasto con la globalizzazione e lo sradicamento che essa produce, si può pensare che al termine di questa crisi, ci sarà un ritorno al locale, a rammentarci che il luogo crea un legame. Da questo punto di vista, il cattolicesimo tradizionale, insistendo sul mistero dell'incarnazione divina, indica la necessità di conciliarsi con questa Terra e di prendersi cura di essa. "
La globalizzazione implica una negazione della frontiera e una pretesa di illimitatezza in tutti i settori. In un momento in cui ci troviamo ad affrontare le conseguenze della globalizzazione, il limite si ripresenta: frontiere politiche degli Stati, ma anche tutti i limiti imposti dalla natura che si vendica della nostra volontà d' onnipotenza. Una delle divinità fondatrici di Roma antica si chiamava Termine (Terminus, "il limite"); era il dio che presiedeva i limiti, guardiano all'entrata del mondo. Era rappresentato senza braccia e senza gambe affinché non lo si potesse spostare. La pianta umana, come ogni altra pianta, ha bisogno di radici per crescere. L'apertura al sacro e alla trascendenza rende fecondo il rapporto tra radicamento e apertura all'altro.
Maffesoli conclude che al di là di un globalismo senza limiti e di localismi poco lungimiranti, l'attuale pandemia insegna la necessità di un ritorno alla frontiera nel senso romano, sacrale del termine. Termine e Giano Bifronte, il cui culto era iniziale e finale: il luogo che crea il legame, il luogo di partenza, il luogo di arrivo, il luogo di passaggio. Il sacro reincanta il mondo...