Qualche considerazione sull’etica – Fabio Calabrese
Qualche considerazione sull’etica – Fabio Calabrese
Rieccomi. Quanti di voi lettori avete avuto la pazienza di seguirmi
sulle pagine elettroniche della nostra "Ereticamente", avrete
certamente notato che negli ultimi tempi, e per buona parte di questo
ormai declinante 2023 mi sono dedicato ad articoli della serie
L'eredità degli antenati, e questo è avvenuto per un motivo preciso, il
fatto che si era creata con l'andare del tempo una "forbice" davvero
imponente – siamo arrivati a sfiorare i cinque mesi – tra gli eventi di
cui vi narravo e il momento in cui gli articoli a essi relativi potevano
comparire sulle nostre pagine. Questo perché, non so se quest'anno le
scoperte archeologiche si siano succedute a un ritmo maggiore che
nel passato, ma certamente hanno ricevuto una maggiore attenzione
da parte dei media, in particolare dopo la scoperta dei bronzetti di San
Casciano dei Bagni.
Di passata, si può anche ricordare che la Borsa Mediterranea del
Turismo Archeologico ha assegnato l'International Archaeological
Discovery Award "Khaled al-Asaad" – giunto alla 9ª edizione a questa
scoperta. Ricordiamo che il premio Khaled, assegnato da una giuria
internazionale comprendente giurati tedeschi, svizzeri, inglesi e
francesi, è una sorta di Oscar o di Nobel dell'archeologia, ed è la prima
volta che viene assegnato a una scoperta avvenuta in Italia.
Questa, a mio parere, è ancora una sottovalutazione. L'Italia ha visto
succedersi nei secoli sul suo suolo importanti civiltà, da quella etrusca,
alla Magna Grecia, a quella romana, a quella comunale nel Medioevo,
ed è un autentico scrigno di tesori archeologici non ancora
adeguatamente studiati, né tanto meno conosciuti, ma ora ne
prescindiamo.
Adesso che questa "forbice" si è considerevolmente ridotta, anche se
non sono riuscito a cancellarla del tutto, vi vorrei parlare di qualcosa
d'altro, e tanto per cominciare, dirvi qualcosa di un argomento che mi
sta particolarmente a cuore, ossia la tematica dell'etica, che poi si
traduce in quello che è il comportamento che tutti noi dovremmo
tenere.
Io non tenterò ora e nel corso del presente articolo, di dimostrarvi che
attualmente viviamo in un mondo dai valori profondamente pervertiti,
un mondo al contrario, come ha spiegato, già nel titolo, il fortunato
libro del generale Vannacci. Penso che questa sia una considerazione
ovvia per chiunque di noi abbia la sensibilità "giusta".
Né d'altra parte ci sarebbe da aspettarsi nulla di diverso, sapendo che
secondo l'insegnamento delle dottrine tradizionali, attualmente
stiamo vivendo nel Kali Yuga, l'età oscura che contrassegna la fine di
un ciclo cosmico, e di cui il sovvertimento di ogni valore è appunto il
sintomo più evidente.
D'altronde le stesse dottrine tradizionali ci dicono che coloro che
tengono fermo nel Kali Yuga sono doppiamente meritori. Basta
ricordare, per tutte, l'esortazione di Julius Evola a essere uomini che si
tengono in piedi in mezzo alle rovine. Quando Evola scrisse queste
parole, l'Europa era appena uscita dalla seconda guerra mondiale, ed
era coperta da rovine materiali ben visibili, frutto di un conflitto
apparentemente insensato, il cui vero scopo che i vincitori avevano
abilmente celato, era quello di fiaccare in modo irreversibile le etnie
europee.
Oggi le rovine materiali non ci sono più, ma in compenso le rovine
morali e spirituali hanno progredito oltre ogni limite che tre quarti di
secolo fa sarebbe stato concepibile, e l'insegnamento di Evola rimane
quanto mai valido, ma rimane un problema: Dove trovare dei modelli a
cui ispirare il nostro comportamento?
Dovremo cercare nella storia, tracce che per loro natura sono esigue, e
caratterizzate soprattutto dal fatto di essere in opposizione ai modelli
di comportamento della maggior parte dei nostri contemporanei, ma
prima ancora c'è una domanda fondamentale a cui occorre rispondere:
cosa significa essere liberi, e quindi capaci di autodeterminarsi?
A questo riguardo, diciamo subito che la maggior parte degli uomini
contemporanei concepisce l'idea stessa di libertà in termini di libertà
esteriore, cioè di assenza di costrizioni esterne, mentre non si ha
nessun occhio al fatto che è altrettanto essenziale la libertà interiore,
il non essere schiavo di istinti e passioni o addirittura (discorso oggi
drammaticamente di attualità), di dipendenze, forse proprio per non
rendersi conto che per la maggior parte dei nostri contemporanei,
questa libertà interiore non esiste.
È un aspetto del nostro discorso sul quale mi riprometto di tornare, ma
prima di scendere nella dimensione privata, sarà bene partire da
qualche considerazione riguardante l'etica pubblica.
È chiaro che i nostri modelli li andremo a cercare al di fuori del mondo
contemporaneo, o in ciò su cui esso ha avuto un'influenza trascurabile.
Sinceramente, l'ho scoperto quasi per caso, occupandomi della rubrica
o serie di articoli L'eredità degli antenati che tengo da parecchio tempo
su "Ereticamente", una delle più celebri statue dell'antichità greca, il
leone di Cheronea che ricorda i caduti greci e in particolare la legione
tebana, nella battaglia che si svolse in questa località contro i
Macedoni di Filippo II padre di Alessandro Magno, fu fatta erigere
dallo stesso Filippo II per onorare il valore dei nemici sconfitti, ma del
cui valore era rimasto ammirato.
Un esempio non dissimile, sulle soglie del Medio Evo, ce l'ha dato il re
longobardo Alboino, figura spesso calunniata dagli storici. Dopo la
calata dei Longobardi in Italia, egli scelse come capitale del regno
Pavia, precisamente in ragione del fatto che la città non aveva
capitolato se non dopo due anni di assedio, ed era rimasto ammirato
dal valore dimostrato dai Pavesi.
Questo è un tratto assolutamente tipico dell'uomo tradizionale, anche
di un "barbaro" come Alboino, il rispetto per il valore, anche e
soprattutto di un nemico sconfitto, siamo proprio all'antitesi della
mentalità moderna, per la quale si continuano da ottant'anni a
calunniare gli sconfitti nella seconda guerra mondiale anche con le
calunnie più invereconde, e in totale spregio della verità storica.
Tutto ciò riguarda la dimensione pubblica, ma ora vediamo di scendere
a un livello più personale. Non si conosce veramente sé stessi finché la
vita non ci mette alla prova. Nove anni fa, feci una delle esperienze
meno augurabili della vita, scoprii di avere un tumore.
A differenza di quanto avrebbero – suppongo – fatto molti che
improvvisamente riscoprono una fede in cui hanno smesso di credere
dall'infanzia, io NON pregai, trovai invece forza nelle parole di Virgilio,
"Et facere et pati fortiter romanum est" – è da Romani agire e
sopportare con fermezza – e nell'insegnamento di Socrate: il saggio
non ha nulla da temere né in vita né in morte. Se c'è un aldilà, riceverà
la ricompensa della sua rettitudine, se non c'è, condividerà
semplicemente il destino di tutti.
Rievocando tempo fa questa brutta esperienza sulle pagine di
Facebook, mi è venuto spontaneo commentare che forse mi sarei
trovato meglio a vivere in un'epoca più eroica di quella presente, ma
qualcuno mi ha fatto notare che è proprio la nostra "comoda" epoca
quella che richiede più forza d'animo per tenere fermo su quei principi
che fanno di un uomo realmente un uomo.
Ricordo con un certo divertimento una discussione di anni fa con un
buon cattolico che mi disse che ho "una mentalità da antico Romano".
Sono sicuro che non intendesse in alcun modo elogiarmi: per lui, gli
antichi Romani erano quei cattivoni che perseguitavano
"immotivatamente" quei "poveri" cristiani, e non aveva idea del
complimento che mi fece.
Come penso ricorderete, ho esordito sulle pagine di "Ereticamente"
ormai parecchi anni or sono, con una serie di articoli molto critici verso
la religione dominante – anche se oggi in sempre più accentuato
declino – nel mondo occidentale, e sono certo che qualcuno non me
l'ha ancora perdonato, ma poi ho lasciato perdere, passando piuttosto
a tematiche di contenuto positivo, perché, diciamolo, l'insistenza sugli
argomenti "mangiapreti" è piuttosto tipica degli atei, specie di sinistra
e in particolare della parrocchia radicale, perché sul positivo non
hanno nulla da offrire.
Ma mettetevi, per così dire, nei panni della divinità. Come vi sentireste
verso un conoscente che vi ha ignorato per moltissimo tempo e si
mette a cercarvi solo quando ha bisogno di voi?
Bisogna ammetterlo: per secoli il cristianesimo ha fatto bene o male
le veci di quelle tradizioni antiche che ha soppiantato e valendo come
simbolo dell'identità europea – da Poitiers a Lepanto – e questo
spiega perché esista ancora oggi un filone di tradizionalismo cattolico.
In definitiva, quando ci si trova stretti nella stessa trincea, non si
dovrebbe guardare in che direzione si rivolgono le preghiere, ma da
che parte si punta la canna del fucile.
Io quindi non insisterei nella polemica se non fosse per il fatto che
oggi la Chiesa bergogliana è sempre più lontana da quel ruolo che ha
di fatto abbandonato con il Concilio Vaticano II.
Una novità solo apparentemente marginale è la modifica che nel rito
cattolico ha subito la formula tradizionale del Padre Nostro, dove "Non
ci indurre in tentazione" è diventato "Non abbandonarci alla
tentazione". In sostanza con essa si nega che la tentazione possa
venire da Dio, avere il valore di una messa alla prova. Si viene cioè a
patti con la riconosciuta debolezza caratteriale dell'uomo moderno.
Uno dei pochi, forse l'unico capolavoro letterario della nostra epoca
accostabile a quelli della tradizione classica come l'Iliade e l'Odissea è
probabilmente Il signore degli anelli dello scrittore inglese John R. R.
Tolkien. Sul cristianesimo di Tolkien, che tra l'altro apparteneva a una
famiglia di cattolici, frequenti in Inghilterra come i denti di gallina,
non vorrei tornare ora ad aprire un contenzioso, sebbene continui a
sembrarmi che dal comportamento dei suoi eroi discendano
implicazioni etiche tutt'altro che cristiane, essi non porgono l'altra
guancia agli emissari del male, e non cercano di convertirli, ma li
combattono con le armi in pugno.
In ogni caso, non si può mettere in dubbio che nel Signore degli anelli
vi siano insegnamenti etici da tenere in grande considerazione.
Nel momento in cui la Compagnia dell'anello deve decidere se
arrischiare o no l'attraversamento delle miniere di Moria, Gandalf
osserva:
"Il punto non è se desideriamo andarci, ma se ci andremo".
Curiosamente, una lezione della stessa natura si può ricavare da un
episodio riferito a un eroe della seconda guerra mondiale, il
comandante sommergibilista Todaro a cui recentemente è stato
dedicato un film. Pare che al momento di intraprendere una missione
particolarmente pericolosa, si sia rivolto a un suo sottoposto
chiedendogli:
"Hai paura?"
"Si, comandante", rispose quest'ultimo.
"Anch'io", concluse Todaro, "Bene, andiamo!"
Sono esempi e sono lezioni che si trovano sull'asse concettuale
esattamente opposto a quello dell'uomo moderno. Ci insegnano non
soltanto che una persona non va giudicata in base alle sue emozioni,
ai suoi sentimenti ai suoi stati d'animo ma in base alle sue azioni, ma
soprattutto che emozioni, stati d'animo, soggettività non possono
esentare da quello che è il corretto modo di agire, da ciò che con una
parola ormai quasi desueta si chiama dovere.
Se noi guardiamo il modo in cui la maggior parte dei nostri
contemporanei cerca di giustificare i propri comportamenti, dai
tribunali ai talk show televisivi, alle conversazioni da salotto, vediamo
che è il trionfo del punto di vista opposto. Da "Non volevo farlo" a "Al
cuore non si comanda", c'è sempre la pretesa che un'emozione, uno
stato d'animo soggettivo su cui si presume di non avere alcun
controllo, possa giustificare anche il comportamento più indegno o più
vile. È il segno di un'umanità ormai regredita a uno stadio infantile, in
cui l'intelletto non esercita più alcun dominio sulle emozioni.
Silvano Lorenzoni, di cui mi sono occupato più di una volta sulle
nostre pagine elettroniche recensendo i suoi libri, è oggi uno degli
intellettuali "pagani" più interessanti. Ha enucleato un concetto
importante, con il quale mi trovo del tutto consenziente. L'associazione
tra religione ed etica è tipica delle religioni monoteisticheabramitiche:
ebraismo, cristianesimo, islam. Per esse, comportarsi bene
significa fare ciò che si suppone essere la volontà di Dio, cosa che può
benissimo includere lo sterminio degli infedeli o la persecuzione degli
eretici.
Questa concezione, in ultima analisi, riduce l'etica a un basso
mercanteggiamento, "si fa il bravo" per evitare le fiamme dell'inferno e
per avere la ricompensa paradisiaca nell'aldilà.
Gli abramitici non vedono altra base all'etica se non questa, da qui la
famosa domanda provocatoria "ti fidi di un ateo" ("o di chi ha una
religione diversa dalla mia")?, con il sottinteso nemmeno tanto
implicito che chi non condivide una religione (la loro religione in
realtà) debba essere un individuo privo di etica, moralmente
spregevole.
Una morale che in fondo non è che la dilatazione su scala universale
del principio del bastone e della carota.
Si ha la spiacevole impressione che costoro sarebbero pronti a
compiere le azioni più atroci se avessero la convinzione che Dio in
quel momento sta guardando da un'altra parte, e considerando come
si sono sempre comportati ebrei, cristiani e islamici nel corso dei
secoli, devono aver pensato che Dio guardasse da un'altra parte
piuttosto spesso.
L'etica non ha un legame diretto con la religione nella maniera in cui
pensano costoro, ha piuttosto fondamento nel senso della dignità, del
rispetto per sé stessi, e non scordiamo la lezione socratica: chi compie
del male ignora di nuocere prima di tutti a sé stesso, perché non si
rende conto in tal modo di abbrutirsi, di svilirsi, quindi, poiché nessuno
desidera nuocere a sé stesso, il male è prima di tutto una forma di
ignoranza.
Ciò coincide con il detto popolare che "è sempre meglio essere il
derubato che il ladro". Avere un'etica significa, in ultima analisi,
rispettare la nostra dignità di uomini.
Da: ERETICAMENTE