Venezia e Jeff Bezos. Arte e storia ridotti a location Roberto PECCHIOLI
Venezia e Jeff Bezos. Arte e storia ridotti a location Roberto PECCHIOLI
Venezia non fu fondata dall'ente per il turismo. Millecinquecento anni di storia scintillante, forza, dominio, arte, scienza del mare, l'armonia miracolosa di un pugno di isolette malsane sulla sabbia trasformate nella città " così bella, così strana, che pare un gioco di Fata Morgana" (Diego Valeri). Poi arrivò Napoleone, l'irruzione rivoluzionaria della modernità e iniziò il declino della Serenissima con la bandiera di San Marco. I leoni simbolo della città divennero mansueti , sino agli sciacalletti e alle iene, certi veneziani impegnati a monetizzare di tutto e di più alla massa transumante di turisti sciamannati e ciabattoni transumanti lungo calli e canali con il naso all'insù, impegnati a fare selfie . Venezia derubricata a fondale di milioni di Io minimi e ipertrofici che lanciano gridolini di ammirazione alle botteghe di ricordi e alle maschere veneziane ( non di rado Made in China) non a San Marco e all'incanto di calli, ponti, fondamenta, campi e campielli . Poi venne Jeff Bezos.
Come è triste Venezia al tempo del suo declino irreversibile. Non ci abita più quasi nessuno, se non chi è troppo vecchio per andarsene, i commercianti famelici e gli straricchi. La chiamano gentrificazione, la riduzione dei centri storici – Venezia intera lo è- a residenza d'elite. Come è triste Venezia al tempo di Jeff Bezos, il magnate di Amazon il cui patrimonio supera i duecentoventi miliardi di dollari ( Il PIL di non so quanti paesi poveri e meno poveri). Bezos per le sue nozze ha preso in affitto Venezia, ridotta, con la sua arte, la sua storia, la sua unicità e la sua fragilità, a location matrimoniale. I monarchi vogliono sempre stupire, marcare il territorio – il mondo intero, ormai- affermare il loro potere. Da giorni Venezia è ostaggio del signore del commercio elettronico, accompagnato dalla corte di nani e ballerine della contemporaneità, attori, cantanti, gente della moda, qualche declinante testa coronata, lo show business al completo.
Decine di milioni il bilancio delle spese, tra feste, alberghi di lusso noleggiati al completo, palazzi storici sedi di eventi mondani, l'isola di San Giorgio requisita per le nozze del sessantunenne tycoon con una non più giovane signora, un po' attrice, un po' imprenditrice, un po' personaggio dello showbiz. Come è triste Venezia che gioisce per i tre milioni donati da Bezos , detraibili dalle tasse , come ha ricordato Massimo Cacciari, l'ultimo veneziano. Come sono tristi il governatore veneto Zaia , che esulta per il ritorno di immagine ( ma Venezia ne ha bisogno? E che significa immagine, per una storia, un' arte, un unicum come quello della città di Fata Morgana?) e il sindaco Brugnaro che offre rose alla sposa e vino Amarone a Bezos, chissà se comprato su Amazon.
La post modernità che vive solo di affari, bilanci e trimestrali di cassa, ci ha abituati a ogni profanazione. Venezia è profanata da decenni dalle navi da crociera, da torme di ignari provenienti da ogni angolo del pianeta che prima bivaccano a Santa Lucia, poi sciamano verso Rialto e San Marco, tutti insieme al richiamo di un sistema per cui tutto, monumenti, tradizioni, chiese, il tesoro immenso accumulato da Venezia nel tempo, vale solo in quanto vendibile alla massa e , in alto, ai capricci dei nuovi imperatori del mondo . Ma è profanata anche dall'abbandono dei suoi abitanti, dal trasferimento in terraferma di ogni attività, dall'indifferenza per il suo destino.
Bezos può facilmente comprare Venezia, o noleggiarla a tempo determinato, spendendo una briciola del suo patrimonio. Zaia e Brugnaro ricordano i poveracci ammessi nel salone dei pranzi dei ricchi del passato per consumare i loro avanzi, confermarli nel potere e ringraziarli. Come è buono lei, diceva il ragionier Fracchia di Paolo Villaggio dopo aver subito l'ennesimo sopruso. Non sarà il matrimonio di Bezos a distruggere Venezia né a rilanciarla. Per che cosa, poi ? Per un turismo d'elite che escluda le folle, non certo per recuperare un ruolo che finì nel lontano 1797 o per riavere centralità nel piccolo, periferico Stato chiamato Italia. Le nozze di Bezos a Venezia, con contorno di feste esclusive ( strano aggettivo al tempo dell'obbligatoria "inclusione"… ) perfino un pigiama party, abiti firmati, belle donne, lusso ostentato davanti a una plebe abbacinata, plaudente e invidiosa, non mostrano soltanto un Titanic che corre gaio verso la montagna di ghiaccio. E' soprattutto il segno dell'indifferenza verso la storia, dell'uso strumentale della bellezza e dell'arte, riconvertite in location per ciò che conta, l'ostentazione dell'oligarchia.
Ha ragione Cacciari anche sulla inanità delle proteste di alcuni "no Bezos" . Premesso che gli attivisti di Extinction Rebellion hanno la sinistra abitudine di lordare o danneggiare le opere d'arte in nome di un antiumanesimo integrale, che cosa resta degli altri contestatori, se non il rumore attutito di un'indignazione non meno nichilista delle nozze milionarie ? Hanno ragione, chiaro, ma non hanno – non abbiamo, purtroppo- un modello di società alternativo al liberismo globalista per cui Venezia è un fondale da affittare per pochi giorni, a una visione della vita più alta dei selfie, del consumo, dei gridolini di stupore e ammirazione per i padroni del mondo pro tempore che possiedono tutto il potere e gran parte della ricchezza. Le cinque persone più ricche del mondo – una classifica in cui Bezos occupa il quarto posto- hanno più che raddoppiato dal 2020 i loro redditi e guadagnano 14 milioni di dollari l'ora. Quindi il buon Jeff ha offerto a Venezia il profitto di pochi minuti e le sue spese nuziali– opportunamente dedotte, detratte, distribuite nella miriade di società a lui legate- verranno reintegrate in poche ore.
C'è di più: la desertificazione commerciale delle nostre città, elemento del degrado urbano, della fine della dimensione comunitaria tra concittadini, della solitudine riempita dagli schermi degli apparati artificiali, ha proprio Bezos tra i responsabili. Compriamo su Amazon, chiudono i negozi, non usciamo di casa, in attesa della consegna del pacco in ascensore da parte di un poveraccio in corsa o addirittura da un drone. Comodamente. In cambio, ci lasceranno assistere da remoto a un pezzo di cerimonia, vedremo i tappeti rossi dei potenti e dei loro giullari. Sempre comodamente, da spettatori paganti senza saperlo.
Gran parte del pubblico si concentrerà sugli abiti e le toilette degli invitati, sui colori del circo rutilante che celebra se stesso e neppure vedrà, sullo sfondo, San Marco e Rialto, la Salute e Palazzo Ducale. Ancor meno si interesserà, dietro le telecamere degli eventi nei palazzi della defunta repubblica aristocratica, dei dipinti, delle sculture, delle architetture e della bellezza che la Serenissima ha offerto a se stessa e al mondo. Come è triste Venezia ridotta a location, sfondo di una rappresentazione di potere e di ricchezza direttamente sottratta a milioni di persone. La Venezia di Shylock, il mercante che voleva in pagamento una libbra della carne di Antonio, il debitore. Siamo tutti debitori di un sistema usuraio e disumano, in cui ogni cosa ha un prezzo e niente ha valore. Venezia è, a suo modo, un tempio. Dell'ingegno di una popolazione sotto i cui piedi acqua salmastra e sabbia sono state trasformate in prodigio, scienza del mare e della costruzione, e poi arte, bellezza, grandezza. Il tempio è sacro perché non è in vendita, scrisse Ezra Pound. Oggi lo è, recapitato da Amazon. Oligarchia canaglia per una massa di voyeur armati di smartphone. Il doge che tradì Venezia , Marin Faliero, fu giustiziato. Oggi sarebbe testimonial del brand Venezia- anzi Venice- con royalties pagate da Amazon e patrocinio della regione Veneto, erede spuria della Serenissima. Viva gli sposi !